
Quando ci si incontrò la prima volta per parlare del sogno-desiderio-progetto di una comunità di famiglie, ci si affidò ad alcune precise espressioni della Parola di Dio:
«Ecco quanto è buono e soave che i fratelli vivano insieme» (SALMO 133)
« Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo regno» (Le 12, 32)
«Signore, non si inorgoglisce il mio cuore… non vado in cerca di cose grandi, superiori alle mie forze. Io sono tranquillo e sereno come un bimbo svezzato in braccio a sua madre» (SALMO 131).
La preghiera e lo scambio di opinioni quella sera si articolarono continuamente in due direzioni:
- Il valore della comunità, la gioia della condivisione fraterna come capace per se stessa di essere segnale e testimonianza in una società in cui si manifestavano le crepe dell’egoismo e dell’individualismo. Nello stesso tempo la comunità poteva potenziare le disposizioni a servire di ogni singola famiglia.
In questa linea la comunità era percepita come mi dono di Dio, prima che mia scelta e un’opera nostra; una grazia da vivere, prima che una struttura per operare.
- Il timore di avventurarsi in un’impresa più grande di noi, con tutti gli interrogativi che ne seguivano: ce la faremo? A quali esempi inspirarci? Non sarà il pallino di qualcuno condiviso con più o meno entusiasmo acritico da altri? Non ci sarà il rischio di chiuderci Uà di noi perché si sta bene insieme?
In questa linea tornava opportuno il richiamo all’umiltà e al fiducioso abbandono in Dio “Come un bimbo svezzato in braccio a sua madre”.
Tutt’e due questi sentimenti si risolvevano in mi preciso riferimento a Dio, in una aperta disposizione ad accogliere quanto Egli ci avrebbe fatto capire, con l’andar del tempo, attraverso gli uomini e le vicende.
Dall’accoglienza di Dio all’accoglienza degli uomini
Scrive San Paolo nella lettera ai Romani: «Accoglietevi gli uni gli altri, come Cristo accolse voi» (15,7). San Paolo sa che a Roma i cristiani non si accolgono tra di loro: chi viene dal giudaismo nutre diffidenza e mantiene distanza nei confronti di quanti provengono dal paganesimo; e viceversa.
In ciò non si mostrano discepoli di Gesù Cristo che li ha accolti tutti e ha fatto dei due un popolo solo (EF 2,14). Accoglierci dunque tra di noi. — Anzitutto accoglierci tra coniugi.
Ogni marito accolga la propria moglie come Cristo ha accolto lui.
Ogni moglie accolga il proprio marito come Cristo ha accolto lei.
Dio ha accolto ciascuno di noi per quel che siamo, con i nostri valori e con i nostri limiti; anche con le nostre lentezze — o incapacità — a renderci più buoni ai suoi occhi. — In secondo luogo accogliersi genitori e figli. Si è diversi per età, per ruoli, per responsabilità.
A volte capita che un figlio non sia neanche atteso e si faccia fatica ad accoglierlo.
Anche senza volerlo può succedere di essere motivo di preoccupazione e di sofferenza gli uni per gli altri; perché ciascuno ha la sua libertà e la gestisce a suo modo.
— Solo sulla base di queste due accoglienze intrafamigliari si può arrivare all’accoglienza delle altre famiglie della comunità. Altrimenti l’accoglienza extra-famigliare potrebbe diventare un alibi, una ricerca di novità, una fuga compensativa, oppure potrebbe restare un’accoglienza superficiale — se non apparente — perché lascia ampio spazio al giudizio (e magari al pregiudizio) verso gli altri: perché si autodispensa dal capirli veramente o perché si accontenta di salvare l’apparenza della comunione senza scendere al piano della reciproca, della sincerità, del sapere morire per l’altro.
E cioè una cosa tutta diversa da come Cristo ci ha accolti.
Mi fermo qui per restare entro l’orizzonte della comunità, pur non ignorando che l’accoglienza si spinge — anzi ci spinge — anche oltre, perché è aperta all’universale come espressione dell’amore e come testimonianza della missione di sapere a tutti che tutti sono accolti in Cristo, e, in Lui, dal Padre suo. Che perciò diventa Padre nostro.
La vostra comunità ne è un segno e una speranza. Per me è anche nostalgia e confortante ricordo.
DON DANTE
Dante Lanfranconi
VESCOVO